Piattaforma di rigenerazione urbana e territoriale dal basso

La Storia delle Cose Improponibili, un’identità di Sapri

La Storia delle Cose Improponibili
La Storia delle Cose Improponibili, un’identità di Sapri

Una ricerca sul campo, un’indagine di ascolto e osservazione

Data: Febbraio/Marzo 2015

Un progetto di ReCollocal 

Luogo: Sapri

Autori: Cosimo Di Giacomo, fotografo dell’Arkfotolab, Liviano Mariella, architetto per Recollocal

 

La Storia delle Cose Improponibili, un'identità di Sapri

Uno dei segnali che possiamo individuare per definire un paesaggio come antropico è la presenza di oggetti fabbricati per corollario alle costruzioni che caratterizzano quella che si definisce “parte urbanizzata”.
Ho sempre ritenuto che Sapri rientrasse in quel lungo elenco di comuni italiani che presentano una commistione tra paesaggio
agricolo ed antropico, meglio definito come paesaggio rurale.
Quale punto di unione tra le parti si è evidenziata una maniera del fare autocostruzione propria ed esclusiva del paesaggio rurale, ma che presenta oggetti, cose, rimaneggiate per meglio adattarsi alla necessità dell’individuo che abita Sapri.
Una cosa è improponibile quando non è possibile o opportuno proporla, in questo sembra che risulti inopportuno averle ritrovate in un luogo propriamente cittadino, perlopiù antropizzato.
Tali presupposti avallano la definizione nell’immagine che ho di Sapri come di un paesaggio rurale.
Cosimo di Giacomo, fotografo per l’Arkfotolab

 

La Storia delle Cose Improponibili è una ricerca sul campo, un’indagine di ascolto e osservazione di specifiche caratteristiche dei luoghi, una deriva tra le strade e i vicoli di Sapri.

Raccoglie e racconta la bellezza spontanea di uno spazio disegnato dagli abitanti, visibile a tutti: quell’indefinita porzione spaziale che sta al limite tra l’intimità privata e lo spazio pubblico, quella che, chissà, definiamo comune. Un’intimità estesa che si rapporta non più solo col nucleo privato ma con una sfera collettiva contratta. Uno spazio che ci appartiene in fondo.
“Ho sempre pensato che un essere umano garantisce la propria sopravvivenza attraverso la modificazione dell’ambiente in cui vive e opera, non solo ma ho sempre creduto che abitare un luogo vuol dire poterlo capire, amare, odiare, esplorare, ecc.” Ugo La Pietra Abitare non è una pratica riferibile solo allo spazio privato. Si abita anche lo spazio pubblico e se abitare ” è essere ovunque a casa propria”, così come l’uomo arreda, attrezza e organizza il suo spazio privato, altresì può farlo nello spazio pubblico.
Quel magnifico margine tra privato e pubblico, oggetto dell’indagine, ci restituisce un’immagine della città che opera in tal senso abbattendo ogni barriera privato/pubblico.
Un senso dei luoghi, patrimonio della collettività, e dell’abitare, che non è frutto della pianificazione.
Una preziosa immagine di come gli abitanti hanno pensato e modificato gli spazi privati mostrandoli al pubblico, spontaneamente.
In questo vasto campo troviamo l’espressione delle soggettività più eterogenee accomunate da una pratica di arrangiarsi, di divenire primitive, basilari, dettate da bisogni pratici e estetici, di essere cura di un patrimonio che ci appartiene, di un’immagine fedele della città, gratuitamente e generosamente donata.
La storia delle cose improponibili è un racconto di questa meravigliosa città di frontiera da osservare e vivere camminando per le sue strade. In fondo è un gesto d’amore.
Liviano Mariella, architetto per ReCollocal